Prendendo spunto dallo spettacolo teatrale che ha scritto e diretto per Cristiana Capotondi, La Vittoria è la balia dei vinti, l’attore e autore Marco Bonini ci racconta come l’amore possa prosperare e persino nutrirsi dell’assenza, a patto che venga coltivato con attenzione e dedizione.
In questa intervista esclusiva, esploreremo insieme a Marco Bonini, come il potere dell’amore, fatto di gesti semplici e intimi, sia capace di superare barriere e distanze, mantenendo vivo il legame affettivo all'interno della famiglia.
Lucrezia, protagonista della storia che vi raccontiamo oggi, vive una vita intensa: è una donna realizzata professionalmente, costantemente in viaggio per lavoro. Ma, nonostante le trasferte frequenti, riesce a essere una madre presente e affettuosa, dimostrando che la lontananza fisica non deve per forza significare distacco emotivo.
Grazie a piccoli gesti quotidiani, come le telefonate serali e le storie della buonanotte raccontate alla sua bambina, Lucrezia riesce a far sentire la sua presenza anche quando non è a casa.
Il tema della lontananza e della presenza genitoriale è centrale nel libro. Lucrezia è un personaggio forte, impegnata nel suo lavoro ma anche attenta al ruolo di madre. Come hai sviluppato il suo personaggio? È ispirato a qualcuno nella tua vita?
Ho sviluppato il personaggio ispirandomi a tutte quelle donne che caparbiamente stanno cercando di smarcarsi dallo stereotipo sociale che le vuole perennemente davanti ad un bivio: Famiglia o Carriera. È uno stereotipo che coinvolge anche tutti (meno delle donne, ma in numero crescente) gli uomini che pensano che la famiglia sia una responsabilità emotiva anche dei padri. È un elemento della questione di genere poco affrontato e che io cerco sempre di evidenziare nel discorso sul genere e non da oggi.
Sono da sempre molto attivo sulla questione di genere. Il primo romanzo raccontava una storia padre figlio sul danno patriarcale subito anche dai maschi. Il secondo è un saggio su come imparare a recitare, cioè a “mettersi nei panni degli altri” sia importante per tutti, anche per chi non fa l'attore, se vogliamo superare le disuguaglianze di genere. Per il mio terzo libro ho dunque provato a farlo, ho provato a mettermi nei panni delle donne, per provare a sentire e raccontare, immedesimandomi, da attore direi, la loro prospettiva, la loro sofferenza, la loro ironia.
Il ruolo del padre Luca svolge un ruolo centrale nella gestione della famiglia e nella cura della figlia Marta. Spesso, nella narrativa tradizionale, siamo abituati a vedere la madre come il fulcro della famiglia e a parlarne come figura "multitasking", divisa tra lavoro e casa. Invece, nel tuo racconto, è il padre a prendersi molte delle responsabilità quotidiane in famiglia mentre la madre, Lucrezia, è impegnata nel suo lavoro. Come ti sei approcciato a questa rappresentazione di Luca?
Ho scritto un monologo teatrale qualche anno fa che racconta il paradosso di Ulisse, questo suo essere attanagliato dalla “condanna” di dover essere un eroe avventuriero che però soffre di nostalgia per gli affetti: casa, moglie, figlio, padre e cane. Dante stesso nel suo canto di Ulisse ci dice che gli affetti non bastano al Ramingo a vincere l'ardore per il viaggio della canoscenza. Ulisse era bloccato in quello che io definisco un vero e proprio paradosso. E' come se per essere maschio Ulisse sia costretto a rinunciare ai suoi affetti, cosi come Penelope per essere una buona donna è costretta a rimanere a fare la mamma e la regina della casa. Io credo che oggi come i tempi sono maturi perché Penelope parta per il suo viaggio della canoscenza siano altrettanto maturi affinché Ulisse dia voce alle sue emozioni senza rinunciare per questo al suo essere maschio e possa dunque scegliere di restare a casa ad accudire i suoi affetti che siano la casa, la prole, i vecchi genitori o il cane.
Ecco il mio Luca ha scelto di rimanere a casa e non soltanto per essere gentile con la moglie, l'uguaglianza di genere non è una questione di gentilezza e una questione di diritto, Luca ha scelto di rimanere a casa perchè ha capito quanto sia importante per lui e per i suoi affetti essere emotivamente disponibile ai i suoi affetti. Lucrezia, in quanto donna sa bene, antropologicamente, il valore della scelta della scelta del marito, è anche per questo che lo ha scelto, esattamente come Luca in quanto maschio conosce bene, antropologicamente, l'importanza del viaggio della canoscenza che Lucrezia sta compiendo lontana da casa e quanto le manchino i suoi affetti. Insieme, attraverso queste storie della buonanotte da remoto, cercano insieme di colmare, o meglio di superare, il paradosso di Ulisse e Penelope. Perché non solo Ulisse avrebbe voluto tornare a casa, anche Penelope avrebbe voluto tanto partire per il viaggio della canoscenza. I miei Luca e Lucrezia lo hanno fatto e lo hanno fatto insieme.
L'uguaglianza di genere non è una penitenza e non ci chiede di fare un passo indietro. E' piuttosto una grande opportunità di fare un passo avanti, riappropriandoci di un nostro diritto che il patriarcato ci ha negato per millenni: il diritto alle emozioni.
Quanto è importante per te il tema della parità di genere nel lavoro e in famiglia? Come si riflette questo nella storia di Lucrezia e Luca?
L'uguaglianza di genere è la nuova battaglia di democrazia e non si vince sostituendo il re con la regina, si risolve solo cambiando paradigma.
Il patriarcato è un sistema di potere complessivo basato sul concetto tanto elementare quanto perentorio, quello della “sottomissione” dell'uomo sull'uomo, dell'uomo sulla donna e dell'uomo sull'ambiente. L'intera agenda 2030 è riconducibile allo stesso principio: prevaricazione, predazione e sfruttamento non consensuale. E' per quello che le femministe la chiamano la cultura dello stupro, ma l'uomo non sta stuprando solo le donne, stupra anche gli uomini, le comunità intere con guerre di invasione, colonialismo economico e stupra anche la natura, desertificando, inquinando, cementificando, sfruttando popoli e risorse indiscriminatamente.
In questo senso i miei Luca e Lucrezia sono una famiglia egalitaria, emozionalmente relazionale, politicamente democratica, in una parola sono una famiglia armonica. O quanto meno si impegnano per esserlo.
C’è una scena del libro che ti ha emozionato particolarmente durante la scrittura? Quale?
Nel primo racconto la scena quando la signora Vittoria allatta i figli della sua balia e si arrende alla vita. In quel momento Vittoria capisce, fisicamente, moralmente, mimeticamente che la “vita vuole vivere”, come dicevano i greci, ed è più forte di qualsiasi convinzione ideologica o stereotipo di classe, più forte di ogni guerra, più forte di tutte le bombe. In quel momento Vittoria è un essere umano che allatta due cuccioli di essere umano e questo vince su tutto. In quel momento è madre, è natura, e quelli sono suoi figli.
Mi emoziona tantissimo quella scena, perché credo che sia uno di quei rarissimi momenti in cui la metafora inventata dallo scrittore prenda possesso di se stessa, quella immagine l'ho scritta io, ma è più importante di me, io ne sono stato solo il tramite e mi commuove perché mi illumina, mi ha illuminato da lettore, prima ancora che da scrittore vanitoso. Quando l'ho scritta ho capito qualcosa in più di me e del mondo che non sapevo prima di scriverla, neanche mentre la scrivevo. Potrei dire che quella scena mi ha colto alla sprovvista.
Cosa speri che i lettori portino con sé dopo aver letto il libro? C’è un messaggio o un’emozione specifica che vuoi lasciare loro?
Il punto di tutto il libro è la differenza tra presenza fisica e presenza emotiva. Non soltanto la differenza, ma la nettissima superiorità della seconda sulla prima. La presenza psicologica può essere anche da remoto e non è un dono del covid, le relazioni umane si sono sempre nutrite di conforti a distanza, lettere, messaggi, gli stessi sogni sono relazioni da remoto, dal luogo più remoto: l'inconscio. La prossimità è un sentimento intimo, che ha sì bisogno di corpo, baci e abbracci, ma che si nutre da sempre anche di immagini, fantasticherie, identità, narrazioni, storie. Nello spettacolo, per esempio, la nostra mamma protagonista, Cristiana Capotondi, l'ho vestita completamente di bianco, e l'ho fatta muovere su una scena completamente bianca. Scena e attrice formano così un corpo unico, uno schermo cinematografico gigante e tridimensionale sul quale apparirà la video-chiamata della piccola figlia che chiede la storia della buona notte. Le parole della mamma evocano quindi altre immagini, vere e proprie illustrazioni grafiche di quella mattina del '43. Non saranno però immagini realistiche, saranno filtrate dall' immaginazione della figlia che ascolta, saranno dunque immagini quasi sognate in quel dormiveglia unico del suo lettino. La storia del bombardamento di Firenze del '43 entra così nella memoria profonda della bambina, la sua memoria emotiva, quella che non si scorda mai, per tutta la vita, così come tutti noi ci ricordiamo un bel libro di fiabe che ci ha letto con amore una persona speciale in quel momento magico tra veglia e sonno, tra conscio e inconscio, tra realtà e sogno.
Marco Bonini
Laureato in filosofia, ha studiato per diversi anni danza classica e moderna prima di dedicarsi alla recitazione. Attore e sceneggiatore, scrive per il cinema e la televisione. Nel 2015 ha firmato con Edoardo Leo la sceneggiatura del pluripremiato Noi e la Giulia, vincitore di due David di Donatello, due Nastri d’Argento e del Globo D’Oro della stampa estera come migliore commedia dell’anno. È tra i protagonisti della fortunata trilogia di Sydney Sibilia, Smetto quando voglio. Se ami qualcuno dillo (Longanesi 2019) è il suo primo libro.