06 maggio 2024

Premio Strega Europeo 2024

I finalisti nel catalogo di Emme Promozione e l'intervista ai traduttori, Roberto Duranti e Lavinia Azzone

Il Premio Strega Europeo viene assegnato annualmente a un libro pubblicato in prima edizione in un paese europeo che sia stato tradotto in Italia tra il 1° maggio dell’anno precedente e il 30 aprile dell’anno in corso.

Concorrono ogni anno cinque opere di narrativa che hanno conseguito nei Paesi di provenienza un importante riconoscimento nazionale: cinque voci rappresentative di diverse aree linguistiche e tradizioni letterarie, cinque modi di esplorare le latitudini possibili del romanzo contemporaneo.

La presenza di una giuria composta da scrittori italiani vincitori e finalisti del Premio Strega garantisce una prospettiva ricca e diversificata nella valutazione delle opere in competizione. Inoltre, il riconoscimento anche al traduttore del libro premiato è un gesto importante che sottolinea l'importanza del lavoro di traduzione nel rendere accessibili le opere letterarie a un pubblico più ampio e diversificato.


Per questo, per parlare dei due titoli candidati al Premio Strega Europeo nel catalogo di Emme Promozione, abbiamo fatto qualche domanda ai traduttori. 


Il canto del profeta edito 66thand2nd, tradotto da Roberto Duranti

Quali considerazioni ha fatto per garantire che la traduzione riflettesse fedelmente il messaggio e lo spirito del romanzo, mantenendo al contempo la sua rilevanza e impatto per i lettori?
Come ogni testo che affronto nel mio ruolo di interprete, cerco di “marcare” stretto l’autore nelle sue scelte stilistiche, specie quando le ritengo particolarmente efficaci e innovative in relazione ai contenuti e ai fini di uno story telling originale. Questo è forse l’aspetto più stimolante del mestiere: imparare sempre qualcosa di nuovo nel modo di narrare, misurandosi con strategie comunicative diverse e sfidando i limiti impliciti della propria lingua grazie alla spinta propulsiva dell’altra. Se si riflette su questo fatto (e si riesce a contenere le pressioni “normalizzanti” a volte messe in atto da redattori e case editrici) si capisce come mai i traduttori a volte osano più di quanto facciano gli scrittori italiani. Secondo me, ci sono esperimenti stilistici più innovativi nelle traduzioni che nei testi scritti direttamente in italiano.

Quali sono stati gli elementi più complessi da tradurre considerando le dinamiche distruttive e conflittuali della città di Dublino nel romanzo?

In effetti, uno dei “problemi” di questa traduzione è stato il mio rapporto affettivo con Dublino e il doverla descrivere come teatro di battaglia, ruolo che mai avrei associato, se non nel suo passato storico, con la città che ho conosciuto e frequentato. Per di più, ho un figlio che vive e lavora lì e, nelle fasi più concitate degli scontri e bombardamenti narrati nel romanzo di Lynch, avevo preso l’abitudine di scrivergli su WhatsApp avvertendolo (per scherzo, ma fino a un certo punto) degli spostamenti dei ribelli e delle forze governative, nonché dei rischi di bombardamenti in luoghi da entrambi riconoscibili, man mano che li traducevo. Era forse un modo di esorcizzare la tensione che si stabiliva tra la narrazione e l’esperienza che entrambi abbiamo della città. Siccome questa tensione è fondamentalmente la stessa su cui Lynch costruisce la sua paradossale descrizione di una guerra civile in contrasto con atmosfere note e amate, credo abbia contribuito alla resa delle vicende stabilendo un’equazione empatica che si sovrappone positivamente al tentativo di equazione linguistica in cui è impegnata ogni traduzione.

Come ha affrontato la sfida di rendere la lotta quotidiana della protagonista, Eilish, contro la banalità del male e la repressione del regime autoritario nella traduzione?

Questo è il terzo romanzo di Lynch che ho tradotto e, per quanto siano stilisticamente e tematicamente molto diversi l’uno dall’altro, resta costante l’intensità, l’efficacia e l’acume psicologico con cui l’autore conduce la sua analisi narrativa attraverso i personaggi. Per certi atteggiamenti, Eilish ricorda molto Grace, protagonista dell’omonimo romanzo: donne travolte da eventi negativi più grandi di loro, ma che tirano fuori una resistenza e una forza di carattere di cui sono le prime a sorprendersi. Come Grace, di fronte alla perdita del fratellino Colly, reagisce inglobandolo nella propria mente e aprendo un continuo dialogo con lui, così Eilish affronta la sparizione del marito continuando a rivolgersi a lui anche in sua assenza, specie nei momenti di tensione. Nell’episodio in cui Eilish taglia a forza i capelli della figlia Molly, nel tentativo di sottrarla alle ambigue attenzioni dei funzionari del regime con cui deve negoziare la loro fuga, c’è un’eco evidente della drammatica scena iniziale di Grace. Qualche tratto dell’impertinente Colly rimane nel tragico personaggio di Bailey. Ma tutti gli attori mantengono una loro coerenza e originalità di fronte alle avversità che devono affrontare, dando vita a personaggi forti, complessi e soprattutto credibili.

Altro merito del romanzo è descrivere l’involuzione politica non a partire dai vertici, ma nelle sue incarnazioni di solerti e opachi funzionari di medio rango e di ottusi esecutori di ordini alla base assolutamente privi di senso critico e di visione politica che vada aldilà degli slogan e della gretta difesa della minima fetta di potere arbitrario assegnatagli, Che è poi il meccanismo su cui si basa qualsiasi forma di totalitarismo. Un altro obbiettivo notevole della narrativa lynchiana è di allargare la critica a fenomeni sempre più diffusi nelle crisi politiche, e conseguenti fenomeni migratorii, in tutto il mondo attraverso la testimonianza di come anche le forze di liberazione corrano il rischio di cadere in trappole analoghe, applicando meccanismi di potere non dissimili a quelli contro cui combattono. Nell’ultima parte del romanzo, le organizzazioni di passatori e di scafisti che cercano di aiutare i fuggiaschi dal regime, instaurano un rapporto concentrazionario sugli esuli che ha, come minimo, una valenza molto ambigua.

Quali sono stati gli elementi culturali o contestuali specifici che ha dovuto considerare durante la traduzione per garantire la comprensione e l'efficacia del testo per i lettori?

L’abilità con cui Lynch riesce a evitare clichés e stereotipi culturali, pur descrivendo personaggi in modo realistico pressoché ineccepibile, anche attraverso l’approfondimento della loro psicologia più intima, in un certo senso rende più facile il compito del traduttore. Anche in presenza dello stile particolarmente compatto che Lynch adotta nei suoi capitoletti-paragrafo, senza interruzioni neanche grafiche per differenziare i dialoghi e le scene descrittive dal flusso interiore dei personaggi. I riferimenti risultano trasparenti e universali, anche quando lo scrittore descrive ambienti e atmosfere tipiche di Dublino, perché lo fa con motivazioni profonde e non superficiali. Penso alla scena in cui Eilish prende un tè con la sua compagna di sventura Carol Sexton: chiunque sia familiare con Dublino riconosce immediatamente il locale, Bewley’s Oriental Cafès, e s’immedesima nell’atmosfera evocata, ma anche chi ne ignora l’esistenza riesce a fruire il senso intimo dell’incontro il cui significato ingloba e trascende il palcoscenico su cui si svolge. Del resto, l’intento dell’autore è mettere in guardia da eventi analoghi possibili, in generale e in dettaglio, in qualsiasi città moderna, anche dove meno ce lo si aspetterebbe.

Ha avuto l'opportunità di consultare l'autore o altri collaboratori per chiarire dubbi o discutere scelte traduttive particolarmente complesse? In caso contrario, come ha risolto eventuali ambiguità o difficoltà interpretative durante il processo di traduzione?

Sono sempre in contatto con Paul via e-mail, ma finora non c’è ancora mai stato bisogno di chiarimenti. Il fatto che ce ne sia la possibilità, aiuta a lavorare abbastanza rilassati, dovesse presentarsi la necessità. Anzi, un paio di volte è capitato che sono stato io a fargli notare delle micro-incongruenze o distrazioni su minimi dettagli narrativi e lui me ne è stato grato e ha autorizzato piccoli escamotages correttivi nella versione italiana.

Qual è stata la sua principale fonte di ispirazione o riferimento durante la traduzione di questo romanzo, considerando il suo contesto storico e tematico?

L’unica fonte di ispirazione di un traduttore è (e dovrebbe essere) il testo originale, non a caso detto anche “sorgente”. È il punto di riferimento costante e anche gli eventuali dubbi devono trovare il loro scioglimento all’interno di quella sede. Certo, aiuta sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda, anche ideologica, dell’autore. Conoscerne e apprezzare la sensibilità per certi risvolti e dettagli, condividere con lui, per esempio, l’approccio al contempo realistico e lirico rispetto ad alcune situazioni, senza essere disturbati neanche da improvvisi scarti nell’onirico o nell’irrazionale. L’importante è capirne i meccanismi stilistici interni e sforzarsi di mimarli al meglio nella lingua d’arrivo, fino a estrarne la massima coincidenza d’effetto possibile. Quando questa si verifica è la migliore dimostrazione dell’universalità dell’arte dello scrivere ed è fonte di ineguagliata soddisfazione.

Di notte tutto è silenzio a Teheran edito Fandango Libri - tradotto da Lavinia Azzone

Qual è stata la sua ispirazione principale per tradurre questo romanzo?
La storia raccontata da Di notte tutto è silenzio a Teheran è quella di una famiglia ma allo stesso tempo quella di un Paese, l’Iran, di cui in Italia si ha generalmente un’immagine stereotipata. È la storia di un popolo in lotta attraverso i decenni e di un esilio forzato in un’Europa non veramente disposta ad accogliere chi scappa da guerre e ritorsioni politiche. Se si potesse parlare di ispirazione, direi che è quella di dare voce a tutti i migranti politici o meno che non la hanno, restituire loro la dignità e il diritto di desiderare di cui i nostri paesi “democratici” li spogliano nell’atto di attraversare le frontiere.

Quali sfide ha affrontato nel rendere in italiano il linguaggio e le atmosfere così profonde e complesse presenti nel testo originale?

La difficoltà maggiore è stata quella di calibrare le quattro voci diverse, ognuna delle quali attinge a un retroterra e a un immaginario diverso, rivoluzionario quello di Behsad, letterario per Nahid, politico-pop Lahel, movimentista-studentesco Mohrad. Ognuno di loro ha una propria lingua e propri riferimenti e il passaggio dall’una all’altra come anche la ricostruzione del contesto è stato quello che mi ha più impegnato.

Ha avuto modo di confrontarsi con l'autore o l'autrice durante il processo di traduzione? Se sì, in che modo ha influenzato il suo lavoro?

In realtà no, non sulla traduzione, ma abbiamo lungamente discusso sulla copertina, dal momento che lavoro nella redazione di Fandango. Volevamo infatti che già dalla copertina ci fosse un rimando al tema fortemente politico del libro, ma anche alla sua natura polifonica. Quindi il nostro art director Francesco Sanesi ha scomposto un simbolo classico dei movimenti socialisti globali (un fiore rosso) a indicare un insieme che si parcellizza, petali divisi che formano comunque un insieme.

Cosa l'ha colpita di più nella storia di Behsad, Nahid e della loro famiglia?

Direi la sua esemplarità, il fatto che rappresentino una tra le moltissime famiglie dei paesi che hanno subito una politica neocoloniale che vivono nelle nostre città, sono le persone a cui non viene concesso il diritto di asilo, la cui cultura viene ghettizzata, le cui tradizioni vengono espulse dal discorso collettivo. Sono una famiglia che ha perso tutto quello che ha per quelli stessi ideali che l’Europa pone come fondativi ma che non riconosce se non a se stessa.

Qual è stata la parte più gratificante del tradurre questo romanzo?

Credo leggere l’incipit ad alta voce, è molto ritmato e parte da una successione di slogan, non piegarlo troppo alla lingua italiana, pur rispettandolo, è stata una delle esperienze di traduzione più bella del mio personale percorso professionale.

Cosa crede che i lettori italiani possano imparare o apprezzare di più dalla lettura di "Di notte tutto è silenzio a Teheran"?

Credo che le varie voci e le diverse personalità dei personaggi raccontati costituiscano una polifonia in grado di trasmettere emozioni e coinvolgere i lettori e le lettrici in un sistema di vita complesso e sconosciuto. Dai piccoli eventi quotidiani si ramifica una visione del mondo e dei rapporti capace di non spaventare per la loro alterità ma di accogliere al loro interno con la loro autenticità.


Cosa vorrebbe che i lettori italiani portassero con sé dopo aver letto “Di notte tutto è silenzio a Teheran”?

L’obiettivo della traduzione come anche della pubblicazione di questo libro in Italia è consentire ai lettori e alle lettrici di cambiare punto di vista su Paesi e popolazioni le cui vicende sono entrate nel nostro immaginario collettivo in modo tendenzialmente distorto. Se chi legge riuscisse anche solo per una volta a mettersi nei panni di chi lotta e si oppone a un regime rischiando tutto quello che ha, che per molti vuol dire la vita, allora la lettura di questo testo avrebbe raggiunto il suo scopo ultimo. Ovvero, mostrare a un’Europa bianca ed escludente tutte le porte che edifichiamo tra l’accoglienza e chi la richiede, tutte le soglie della cui esistenza non ci accorgiamo unicamente perché nessuno ci ha mai chiesto i documenti per varcarle. Leggendo questo libro si cambia sguardo: abbiamo gli occhi di chi si ritrova straniero a tutto in una terra che non gli riconosce diritti.