27 settembre 2024

Lo sguardo di Vic - Il mondo prima e dopo il walkman

Il primo titolo della collana Turning Point di Jimenez Edizioni

Tra letteratura, musica, film e serie tv, tra ricordi personali e azzardi sociologici, la storia di come un semplice riproduttore di cassette portatile abbia radicalmente cambiato il nostro stare al mondo.

È difficile trovare chi, negli anni 80 e 90, non abbia mai ascoltato un brano rock o dance indossando quelle cuffiette attaccate al celebre riproduttore di musicassette mentre corre e semplicemente passeggia, cosa che non si era mai fatta prima.

Per la prima volta, con quest'oggetto, le persone potevano portare la loro musica preferita con loro. Dovunque. Mentre si facevano sport, all'università, al bar, all'aria aperta. 

Questa non è soltanto la storia di un dispositivo elettronico che ha cambiato le nostre abitudini di ascoltatori e il nostro modo di vivere la musica: questa è la storia di un dispositivo elettronico che ci ha cambiati in profondità. Abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con l'autore Stefano Solventi e siamo pronti a svelarvi alcune curiosità.

●Tutto parte da Vic, protagonista di “Il tempo delle mele” e di una celebre scena del film rimasta impressa nell’immaginario di un’intera generazione. Perché ha scelto di partire da "Il tempo delle mele" e dalla scena con Sophie Marceau per raccontare questa storia?

Era inevitabile iniziare il libro dalla scena di Vic a cui Mathieu fa indossare le cuffie. All’epoca rappresentò un momento segnante, dalla valenza iconografica vasta e profonda. Conoscevamo tutti quella scena, nessuno escluso. La conosceva anche chi non aveva visto il film. Accadde quindi che mentre quella scena - quel fotogramma - certificava l’ingresso del walkman nell’immaginario, contribuiva al tempo stesso a una sua ulteriore diffusione, lo imponeva come feticcio generazionale. Fu una vera epifania, con cui abbiamo fatto i conti per anni. Il libro si apre quindi con un evento molto pop, ma del resto voleva appunto fare questo: confrontarsi col pop in maniera scoperta, e scavarci dentro, per cercare pepite di significato che spesso eccedono quegli stessi contesti pop di partenza.

●In che modo ritiene che il walkman abbia "cambiato in profondità" le persone?

A questo tema dedico molte pagine nel libro, non è semplice riassumere in poche righe. Ci provo così: di colpo ascoltare divenne una dimensione del nostro esistere sociale, rimanendo comunque un gesto privato, segreto. Potevamo finalmente portare fuori dalle nostre camerette uno degli aspetti che ci caratterizzava profondamente in quanto individui, ma continuando a proteggere questo lato del nostro essere dietro a una cortina di mistero. Tutto ciò cambiava il nostro modo di stare nel mondo (quindi il modo in cui venivamo percepiti) e al tempo stesso il modo in cui percepivamo il mondo. Si trattò di una specie di esplosione che scozzò i piani dell’intimo e del condiviso in maniera totalmente inedita. Personalmente, ne uscii stravolto. In senso positivo.

●Quali cambiamenti psicologici o sociali sono stati innescati dall'introduzione di questo dispositivo?

Non essendo psicologo né sociologo preferisco non avventurarmi in analisi di questo tipo, ma forse posso rispondere a questa domanda in altro modo: credo che il walkman abbia determinato la nascita di un nuovo tipo di ascoltatore, quello che nel libro chiamo “ascoltatore larva”, che ha costituito il presupposto per un nuovo tipo di individuo, disposto a stare in mezzo agli altri eppure in modalità solitaria, liminare in un certo senso tra la dimensione sociale e privata. Il senso di questa vera e propria speciazione assumerà più avanti un’importanza enorme e per nulla preventivata.   

●Quali sono le principali differenze che nota tra l'era del walkman e l'era degli smartphone?

Chiaramente lo smartphone è un dispositivo molto più potente e versatile, proprio per come sintetizza le caratteristiche di più dispositivi, tra cui vanno citati il telefono, la fotocamera, la videocamera, il computer e appunto il walkman. Per quanto riguarda l’ascolto, il fattore dirimente è rappresentato chiaramente dalla connettività: nel momento in cui l’ascoltatore itinerante definito dal walkman è stato per così dire raggiunto dal web, tutto è cambiato. Con il walkman potevi contare su una cassetta che garantiva al massimo novanta minuti di musica: questo era il tuo serbatoio sonoro, che avevi “rifornito” appositamente (scegliendo, chessò, di ascoltare gli Smiths o gli Slayer secondo il tuo umore, e se nel frattempo l’umore cambiava pazienza). Il catalogo delle app di streaming è invece e in pratica sconfinato: quello che decidi di ascoltare dipende sempre più dal momento e dai “suggerimenti” dell’algoritmo. Sembra una differenza da poco, ma al contrario è enorme. Inoltre, lo smartphone presuppone che l’ascolto possa riferirsi ad attività diverse, ad esempio a una telefonata, a un podcast, a un audiolibro… In estrema sintesi, lo smartphone ti caratterizza meno come ascoltatore e più come utente connesso al web, sottoposto quindi al “pungolo” del web.

●Ha citato diversi film e serie TV nel tuo racconto. Come questi media hanno contribuito a plasmare la nostra percezione dei dispositivi di ascolto portatili?

L’immaginario cinematografico e televisivo è una vera e propria cartina al tornasole per quanto riguarda gli sviluppi del costume e le sedimentazioni culturali. Nel caso specifico, non nascondo di avere voluto giocare un po’ a sovrainterpretare (cosa che a Umberto Eco non sarebbe affatto piaciuta, casomai avesse voluto farmi l’onore di prendermi in considerazione). Però il mio è un gioco scoperto, che metto in chiaro fin dal primo capitolo: mi sono preso la libertà di estrarre da Il tempo delle mele, Pretty Woman, Strange Days e Stranger Things - per citare solo le “sequenze” principali che tratto nel libro - significati che di certo non erano contemplati dai rispettivi autori. D’altro canto, penso che i piani del simbolico siano spesso postumi e involontari, ragion per cui mi sono sentito pienamente autorizzato ad agire in tal senso. In ogni caso, la sfida era rendere il tutto coerente, imbastire un discorso che filasse. In qualche modo, e sorprendentemente, credo di esserci riuscito.

●C'è qualcosa di prezioso o autentico nell'esperienza del walkman che pensa sia andato perso con l'avvento della musica digitale e degli smartphone?

Questo discorso ci porterebbe molto lontano. Mi limito a puntualizzare un aspetto. Innanzitutto, c’è una differenza enorme tra “noi” nativi analogici, cresciuti con i supporti fonografici (vinili, cassette, cd…). e i nativi digitali abituati da sempre ad ascoltare tutto via Youtube o Spotify. In noi, diciamo così, ascoltatori con una certa anzianità di servizio persiste l’abitudine a pensare per discografie, vediamo il disco come la tappa di un percorso che tendiamo a considerare nel suo svilupparsi e ramificarsi, nel suo incrociarsi con altre discografie, definendo così stili, generi, scene eccetera. Tutto questo ha una rilevanza pressoché nulla per il nativo digitale, che è molto più soggetto ad esempio all’influenza delle playlist, le quali definiscono un mood più estemporaneo e meno sviluppato in modalità “racconto”. Per rispondere alla domanda, possiamo dire che abbiamo perduto l’attitudine della musica a strutturarsi come “racconto discografico”? Forse. Di certo le innovazioni tecnologiche fanno così: non cambiano solo le prassi di utilizzo, cambiano il senso. Se ci pensate accadde lo stesso con il passaggio dagli spartiti al grammofono, polemiche comprese per l’eccessiva “banalizzazione” della musica che a quel punto poteva essere riprodotta in ogni salotto. Personalmente, ovvero egoisticamente, apprezzo molto la possibilità di avere a disposizione in pratica tutto lo scibile musicale nel mio smartphone, oltretutto a un prezzo mensile che corrisponde a quanto un tempo spendevo per un solo cd. E di quelli economici, per giunta. Ma il mio è un punto di vista, come dire, privilegiato, perché appunto applico la mia mentalità analogica alle possibilità del digitale. Forse bisognerebbe riuscire a trasmettere ai più giovani il gusto, se non l’importanza, di un approccio discografico, ovvero narrativo, alla musica. Ma non è facile. 

●Quali segnali di allarme sui futuri sviluppi tecnologici ha individuato scrivendo questo libro? Pensa che ci siano rischi particolari nell'evoluzione continua della tecnologia in termini di ascolto e privacy?

Il rischio è connaturato da sempre agli sviluppi tecnologici. Ma l’uomo è un animale tecnologico, c’è poco da fare, impossibile sfuggire al nostro destino. Quindi, certo, la tecnologia corre veloce e di conseguenza stiamo correndo rischi di natura inedita. La rete si alimenta dei dati che produciamo in ogni momento, col nostro tacito e più o meno consapevole benestare. Anche perché sfruttare i benefici della rete significa anche questo: produrre dati relativamente al nostro utilizzo (dei dati stessi). Tutto ciò ha un corollario: la sorveglianza viene messa sempre più a sistema, ribadita come elemento strutturale del nostro vivere connesso. Può non starci bene, ma è così. Oppure può starci bene, ma qui sorge l’interrogativo: fino a che punto siamo disposti a cedere il controllo sulla nostra vita, anche della nostra vita più intima, a un sistema algoritmico in grado di prevedere e orientare i nostri gusti, le nostre emozioni, i nostri desideri? Questa è probabilmente una delle domande più importanti che dovremmo porci. 

●Questo libro attrarrà tutti i nostalgici degli anni ’80 ma sarà anche uno strumento per far conoscere ai giovani di oggi un simbolo di un'era passata e una società totalmente diversa. Cosa spera che i lettori traggano dal suo libro?

In realtà non lo so. Credo che raccontare storie sia importante di per sé. Quanto a me, avevo bisogno di tirare le fila, di tornare a quel punto di svolta della mia generazione e della mia esistenza. Nel farlo, ho scoperto che l’apparizione del walkman ha coinciso con un turning point dalle conseguenze ben più ampie di quanto non credessi. Questo libro perciò nasce come un doveroso tributo al walkman, al quale sarò per sempre grato, perché mi ha davvero cambiato la vita, credo in meglio. Potrei spingermi a dire che mi ha addirittura salvato. Ecco, se ripenso al primo walkman che ho acquistato, continuo a provare una sensazione di meraviglia. Non si trattava solo di farsi pilotare dalle possibilità offerte da una nuova tecnologia: era un desiderio che prendeva forma, che diventava materia, strumento. Ma, come dire, eravamo ancora noi a riempire il serbatoio di questo desiderio. Con tutte le approssimazioni del caso, il procedere per tentativi, la bassa fedeltà, il senso di scoperta. Ecco, forse è questo che mi piacerebbe trasmettere al lettore: la priorità dell’esistenza rispetto alla pianificazione dell’esistenza. La vita è preziosa proprio in ragione del suo procedere sfocato, imperfetto, erratico. Consegnare la nostra esistenza a una sovrastruttura predittiva comporta una sua formattazione e quindi - un “quindi” pesantissimo - a un suo svilimento.

●Secondo lei, quale sarà il prossimo passo nell'evoluzione dei dispositivi di ascolto?

Confesso di essere confuso al riguardo. I segnali sono ambigui e contrastanti: da un lato si assiste a una progressiva integrazione dei dispositivi audio in altri accessori, vedi la recente introduzione dei riproduttori audio nelle aste degli occhiali smart. Dall’altro stanno tornando in auge cuffie sovraurali che sembrano voler enfatizzare l’atto stesso dell’ascoltare (in quest’ultimo caso, al netto del maggiore isolamento acustico e della migliore qualità audio, non escludo che agisca un fattore modaiolo). Noto inoltre che parallelamente allo smartphone resiste una nicchia di riproduttori di file audio ad alta fedeltà, non necessariamente in modalità streaming. Credo comunque che la partita continuerà a essere giocata sulla portabilità, anzi sull’indossabilità. Da questo aspetto non penso che si tornerà mai indietro. In ragione di ciò, nel medio periodo mi aspetto miglioramenti soprattutto riguardo alla versatilità e alle performance in situazioni complicate, quindi in ambienti particolarmente rumorosi, in immersione, eccetera. Preferisco non spingermi fino a ipotizzare un potenziamento del nostro apparato uditivo con cuffie impiantate chirurgicamente, ma temo che non si possa escludere del tutto.

«Il tempo delle mele era un film di culto all’epoca, tanto che divenne davvero un’abitudine di tutti gli adolescenti mettere le cuffie di un walkman in testa a qualcun altro»

François Ozon


Stefano Solventi già collaboratore del Mucchio Selvaggio, oggi autore di articoli e recensioni per SentireAscoltare e Audioreview e curatore di pensierosecondario, vincitore della targa MEI per il miglior blog musicale nel 2019. Ascolta la Playlist Spotify:https://open.spotify.com/playlist/5JqMf09icrul4Rn7pIgmw0?si=c37285f6e25c4ff2