Sei donne, tre figlie e tre madri, nella stessa casa, immerse nel vortice inarrestabile delle loro giornate, dove la routine si intreccia con le emozioni, creando un intenso tessuto di relazioni e esperienze condivise.
Apriamo “il primo atto” scoprendo il romanzo dagli occhi dell’autrice Fiammetta Palpati.
Qual è stata l'ispirazione dietro la creazione di questo dramma tragicomico delle "orfane bianche"?
Un tè, insieme a due amiche. Ci si lagnava delle madri che ci erano toccate in sorte. Madri bambine. A un certo punto una ha detto "è come se fossimo orfane, da sempre". E un'altra ha commentato: "Ma che orfane siamo se una madre ce l'abbiamo, viva e vegeta?". E la terza: "Orfane bianche!". Ecco è stata un'agnizione, e siamo scoppiate a ridere. Ma avremmo voluto scoppiare a piangere. Però dopo siamo state meglio.
Come hai sviluppato i personaggi principali e quali sfumature psicologiche hai voluto evidenziare attraverso di essi?
Le tre donne sono accomunate dalla medesima condizione: il desiderio di sentirsi figlie. Di sentirsi curate, accudite. Ma i modi in cui hanno vissuto la loro orfananza – mi si passi il neologismo –, le loro reazioni alle circostanze, e gli eventi stessi che le hanno determinate sono invece personali e diverse per ciascuna. Sono psicologicamente complesse, e sfumate, appunto. Però è vero che nel gioco degli incastri che pensano di sfruttare a loro favore durante la coabitazione ciascuna si è assunta un ruolo. Allora Lucia, l'insegnante che è costretta a tirar via la madre dalla casa di riposo, è molto rigida; al contrario Natàlia – che ha sacrificato ogni ambizione al bisogno di sua madre di averla sempre accanto, che quindi ha accettato la propria prigionia, paradossalmente è più libera, meno nevrotica dell'altra. La terza è quella il cui equilibrio psichico è più precario: è sempre vicina al crollo psicotico. Ma allo stesso tempo è anche quella più disponibile ad accettare l'improbabile. A credere nel miracolo. Queste caratteristiche certamente non le esauriscono.
La presenza della suora fasulla e inferma aggiunge un elemento di contrasto e tensione alla storia. Qual è il suo ruolo simbolico nel contesto della narrazione?
Il ruolo dell'idiota, per dirla letterariamente. Cioè non agisce, si limita ad essere. E cosa è? È innanzitutto un corpo, enorme e enormemente bisognoso – di cibo, di spazio, di accudimento. In quel corpo c'è tutta la sua esistenza. Non ha un passato e non pensa al futuro. È soltanto essere. E in quanto essere porta scandalo e verità.
La tematica dell'infelicità delle "orfane bianche" viene affrontata in modo poetico. Come hai bilanciato gli elementi tragici e comici nella tua narrazione?
Ho immaginato, semplicemente, gli eventi. Il resto, il bilanciamento, è venuto in maniera abbastanza naturale. In compenso ho lavorato moltissimo sulle scene, sulla lingua, sui dialoghi, sul ritmo. Come? Rileggendo e ascoltandomi riga per riga. A capo per a capo. Ho lavorato in maniera maniacale. Poi una volta conclusa la scena e prima di passare alla seguente, rileggevo dal principio. Insomma sono andata a orecchio.
Infine, quali sono le tue speranze per come il pubblico percepirà e interpreterà questa storia?
Naturalmente mi auguro che venga molto letta, e molto riletta. E che a fine lettura – quali che siano gli aspetti che si sono colti, o apprezzati, quelli più psicologici, o morali, o simbolici – ci si senta sollevati. Che si stia meglio.
«Per sapere come va a finire, bisognerebbe contemplare questa e ogni altra storia con uno sguardo diverso, che è lo sguardo di Dio, il più atteso tra gli ospiti inattesi»
Alessandro Zaccuri
La casa delle Orfane Bianche fa parte della Collana Fremen edito Laurana Editore
I Fremen sono i protagonisti di Dune, il famoso ciclo di romanzi di Frank Herbert: il popolo che vive negli enormi spazi aridi del pianeta Arrakis. I Fremen hanno fatto del deserto, temuto da tutti e da tutti ritenuto inabitabile e disabitato, la propria casa, la propria risorsa, la propria forza. La collana fremen è curata da Giulio Mozzi.
Nella stessa collana troviamo altri due titoli imperdibili "Ferrovie del Messico" di Gian Marco Griffi e "Lo Splendore" di Pier Paolo Di Mino.