A maggio di quest’anno Ilaria Amenta è arrivata in libreria con il suo nuovo libro “Io sono l’uomo nero” edito dai Rai Libri. Il titolo rimanda al nome di uno dei carnefici – Angelo Izzo - responsabile del fatto di cronaca che sconvolse l’Italia: il massacro del Circeo. È Angelo Izzo che scrive negli inediti che vengono consegnati alla giornalista e racconta particolari macabri dei delitti che lo hanno reso protagonista delle prime pagine dei quotidiani per molto tempo, il massacro del Circeo del 1975 e il delitto di Ferrazzano del 2005.
Una parabola lunga cinquant’anni che conferma in modo inequivocabile che Angelo Izzo non ha mai mostrato un accenno di pentimento.
Abbiamo incontrato Ilaria Amenta durante il Salone Internazionale del Libro di Torino approfondendo con lei alcuni dei temi toccati all’interno del libro (trovate qui la sua intervista).
Ci siamo chiesti come potesse parlare anche ai più giovani questo libro, a chi non ha sentito televisioni, letto giornali, a chi è arrivato dopo e non conosce l’impegno di Donatella Colasanti e delle famiglie che hanno chiesto e ottenuto giustizia e che hanno segnato un punto di svolta dal punto di vista sociale e legislativo.
Perché un episodio di cronaca nera di quasi cinquant’anni fa è bene che rimanga nella memoria delle nuove generazioni?
«Secondo me è buono per tante ragioni. Prima di tutto è uno specchio di quello che accadeva e accade. Un fatto di cronaca del 1975 che però è molto attuale, forse il primo episodio di cronaca che riguarda la violenza di genere. La violenza di genere è un tema del quale oggi parliamo abbondantemente, che c’è ancora che è molto attuale. Io faccio sempre l’esempio di “terrazza sentimento” di Genovese (fatto di cronaca del 2020, ndr.) che mi sembra quello più azzeccato, ragazze che vengono drogate, torturate, seviziate e abusate quando sono sotto effetto delle droghe che è un po’ quello che è successo in quella casa maledetta del Circeo.»
Nel 1975 lo stupro è ancora un crimine che viene commesso contro la morale e non contro la persona…
«Sì, è un reato che viene punito perché è contro la morale. E lì inizia la battaglia, questo è un processo capitale contro la battaglia per veder riconosciuta la violenza sessuale come un reato contro la persona. Una battaglia che riesce 20 anni dopo, Donatella Colasanti dirà «è troppo tardi» però riesce e oggi viene punito con una reclusione che va dai 6 ai 12 anni. E sicuramente quella tappa va considerata ed è importante che le generazioni future lo sappiano, per il risultato che dopo anni siamo riusciti a raggiungere.»
E quindi le donne iniziano ad essere maggiormente tutelate, anche se ad oggi c’è bisogno di qualche sforzo ancora…
«Sì secondo me non siamo abbastanza avanti perché sicuramente siamo in un’epoca storica molto diversa ma il problema c’è allora come oggi, c’è stato un tassello in più che è stato sicuramente la legge, qualche sentenza della corte di cassazione ma purtroppo ancora oggi le donne hanno paura a raccontare e scelgono di farlo anni dopo, o di non farlo affatto.»