Se la serialità televisiva è lʼultima espressione della contemporaneità, ciò non rappresenta rottura ma continuità. Ce lo racconta Giusi De Santis in "Fine serie mai" edito da L'Asino d'oro Edizioni.
Le serie tv che ormai sono un prodotto al quale ci
siamo abituati sono state in realtà una rivoluzione nel linguaggio e nella
forma del racconto. Se dovessimo individuare dei passaggi fondamentali di
questo loro successo, quali sarebbero?
Insieme a Natascia Di Vito, Guido Silei e Piero Spila abbiamo indagato a lungo il fenomeno delle serie TV, mettendo a fuoco i principali aspetti che ne evidenziano la portata rivoluzionaria. Il titolo del libro, Fine serie mai, diviene quanto mai esemplificativo, poiché allude alla straordinaria offerta di prodotti audiovisivi che lo spettatore può scegliere e di cui può fruire per un tempo illimitato. Richiamando, allo stesso tempo, la crescita esponenziale delle serie TV all’interno della filiera produttiva, crescita che avviene in particolare dagli anni Duemila, e che registra la sua massima espansione - anche in termini di investimento - tra il 2017 e il 2021. Il periodo del lockdown, inoltre, e la quantità di tempo a disposizione, improvvisamente dilatato, ha di certo amplificato il bisogno di intrattenimento da parte del pubblico.
Nel libro, in maniera puntuale e accurata, vengono delineati quelli che sono i passaggi fondamentali dell’affermazione e del successo della serialità, anche da un punto di vista storico. Dalle origini letterarie alla prima e seconda Golden Age, fino alla Quality Television e all’avvento della Grande Serialità. Secondo alcuni critici e studiosi, è possibile individuare una cesura epocale, e una vera e propria esplosione del fenomeno, con la messa in onda, a partire dal 2004, della serie statunitense creata da J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber per il network televisivo ABC, Lost. Serie TV che ha profondamente modificato le regole dell’intrattenimento, ponendo in primo piano le enormi potenzialità di sperimentazione estetica e narrativa: il racconto e i suoi archi narrativi e temporali vengono dilatati, favorendo una maggiore possibilità di caratterizzazione dei personaggi e di approfondimento anche della loro backstory. I protagonisti, interpretati da un cast ancora sconosciuto al grande pubblico, diventano sempre più vicini e riconoscibili, permettendo una maggiore identificazione spettatoriale, anche quando il contesto della storia appare lontano.La complessità narrativa, l’innovazione del linguaggio e dei contenuti, la digressione del racconto, unitamente alla contaminazione dei generi (nel caso di Lost, avventura, dramma, thriller, sci-fi) diventano le caratteristiche precipue delle serie TV. Scrive Piero Spila: «Nella serialità d’autore c’è sempre tempo per tutto, per l’approfondimento e per la variazione sul tema, l’inatteso e il non detto».
E tutti questi aspetti, insieme ad innumerevoli altri, hanno costretto a un ripensamento, non soltanto in termini creativi e produttivi ma anche teorici, spingendo studiosi e critici a riformulare gli approcci analitici, alla ricerca di nuovi e più adeguati strumenti in grado di rispondere alle nuove sfide che l’immagine audiovisiva chiama ad affrontare.
E guardando avanti, invece, come crede si evolveranno?
Più che come ‘credo’ si evolveranno, mi piace pensare a come ‘spero’ si evolveranno…
Quello che, attualmente, mi sembra di cogliere è una crescente e spasmodica ‘corsa all’oro’, dettata da una necessità quasi bulimica di accaparrarsi il prodotto più accattivante e che meglio risponde alle esigenze del mercato. Ecco che allora le proposte creative (sostenute oramai da budget elevati e da scritture elaborate, oltre che da cast di rilievo), per essere efficaci, devono possedere - da un punto di vista produttivo - quelle specifiche caratteristiche, ricercate al momento dai broadcasters. Female driven, high concept, IP forte, sono terminologie ormai abusate, chiavi di accesso ai dettami del mercato e ai gusti dello spettatore, che può facilmente appassionarsi alla storia e identificarsi con i suoi protagonisti. E, spesso, seguire questa strada vuol dire rimanere all’interno di una comfort zone che limita la possibilità di osare, di creare contenuti creativi che sappiano rispondere non soltanto alle esigenze del mercato, ma che siano capaci di produrre, come scriveva il poeta e drammaturgo tedesco Heiner Muller, un’eccedenza di idee. Si corre il rischio, a mio parere, di trasformare un terreno fertile, in grado di produrre innovazione e sperimentazione - di linguaggi ma anche di contenuti - in piattaforme generaliste. Spesso questo atteggiamento si traduce con la volontà di ricercare e realizzare prodotti high concept, appunto, ossia semplici da comunicare, poiché progettati sulla base dei gusti del pubblico grazie alle ricerche di mercato effettuate; oppure prodotti legati ad un forte IP, come romanzi divenuti bestseller per esempio, con la speranza di replicarne il successo letterario. Perdendo di vista spesso la creazione di una efficace linea editoriale e minando la stessa autorialità, essenziali da perseguire a mio parere insieme alla capacità produttiva di farsi portavoce e promotrice di istanze e offerte valide. Considerando che il potere creativo e decisionale è sempre più affidato alle mani della produzione la quale, proprio per questo, dovrebbe essere quanti altri mai lungimirante. Che non sia sempre e solo mero intrattenimento, insomma, per cui se sono impegnato a preparare la cena posso nel frattempo anche seguire una serie TV.
C’è una bella intervista, all’interno del libro, in cui lo sceneggiatore e regista Stefano Sardo afferma: «Vorrei raccontare quello che accade adesso perché lo so, perché lo sto vivendo... Solo che abbiamo talmente perso fiducia nel narrativo che andiamo a raccontare solo cose dell’Ottocento o del Novecento, oppure raccontiamo periferie che neanche frequentiamo. Il problema vero è che abbiamo perso la fiducia nella capacità delle idee di diventare il motore dell’intera esperienza produttiva». E qui il discorso potrebbe continuare all’infinito e percorrere ulteriori e molteplici strade di approfondimento: dunque, parliamo certamente di innovazioni di linguaggio, forme e contenuti, ma anche di criticità emerse. Sottolinea ancora Sardo: «Noi sappiamo che proviamo tante volte a fare la dieta, a non tradire, a smettere di fumare, ad avere un rapporto migliore con i nostri genitori e poi, puntualmente, ricaschiamo nei nostri fatal flaws. E in quella roba lì ci rispecchiamo di più, ed è perciò che le serie a un certo punto sono diventate, come dire, l’oggetto narrativo più importante, quello che ha caratterizzato l’epoca. La nostra epoca è l’epoca delle serie, che sono l’oggetto culturale del nostro tempo. Credo che questo sia dovuto al fatto che il paradigma si aggiorna sempre e va a cercare nuove formule capaci di restituire più fedelmente la realtà». Ecco, qui si apre un’altra possibilità di approfondimento, che è quella legata al discorso sull’immagine che dovrebbe anche poter allontanarsi dalla riproduzione della realtà, e saper raccontare, o meglio rappresentare, immagini che abbiano a che fare con il pensiero. Ed è proprio il nesso tra l’immagine e il pensiero ad essere ribadito dallo psichiatra Massimo Fagioli nell’intervista del 2013 di Francesco Gatti per Rai News 24, dove sottolinea come un certo tipo di prodotto televisivo, che propone soltanto la fotografia della realtà, senza alcun movimento dell’immagine, ponga lo spettatore nella condizione di non pensare. Dunque, la questione non è serie TV o non serie TV ma, come afferma anche la psichiatra Alice Dell’Erba in una delle interviste contenute in Fine serie mai,«la ricerca sulle immagini, quando è presente, prescinde dal tipo di prodotto che la veicola».
Potremmo, allora, chiederci… Come gli autori - e con loro i produttori - possono dialogare con le storie, e anche con il presente in cui vivono, e raccontarne i contenuti e le trasformazioni mediante le immagini? E quali serie TV possiamo ritenere significative riguardo alla questione legata alla creazione di immagini che non siano soltanto la fotografia della realtà? Nel volume vengono prese in esame serie TV quali Maid, Prisma, Tredici, I Know This Much is True... solo per citarne alcune, dove ci è sembrato di poter rintracciare immagini capaci di veicolare contenuti, dinamiche e affetti, e di rappresentarli in un certo modo. Dunque, sia contenuto che rappresentazione: questa ci è parsa la sfida più ardua.
Gli spettatori delle serie tv, come raccontato in un paragrafo del libro, si sono interfacciati con crossmedialità – che poi è l’adattamento del prodotto su diversi canali – e con la transmedialità – il coinvolgimento attraverso i social e il merchandising. Non solo, ormai gli spettatori sono padroni, possono scegliere quando e come fruire dei prodotti audiovisivi. Questo loro ruolo come ha modificato la serialità?
Il cambiamento profondo legato alle modalità di fruizione spettatoriale possono essere sintetizzate nella formula: ‘anything, anywhere, anytime’, ossia su qualunque schermo, in qualunque momento e in qualsiasi posto. Vengono ridisegnati i luoghi della visione e viene ridefinita l’accessibilità dei contenuti audiovisivi: lo spettatore seriale prescinde dagli spazi della sala cinematografica e delle mura domestiche, e si ritrova a guardare le serie TV sul tablet, sullo smartphone, magari durante una corsa in metropolitana o un viaggio in treno. E, al contempo, è chiamato a fare i conti con una durata potenzialmente illimitata, con una modalità di visione dominata dalla continuità (il cosiddetto binge watching) e dalla possibilità di riprendere le fila della storia dal punto esatto in cui era stata interrotta, rientrando, in qualsiasi momento, a far parte della quotidianità stessa dei personaggi.
Negli anni Duemila assistiamo al compimento e alla maturazione del concetto di serie TV, che raggiunge livelli di popolarità e di espansione mai registrati in precedenza. La data del 1° febbraio 2013 si pone, a riguardo, come una data spartiacque: Netflix, per la prima volta, rilascia in piattaforma l’intera prima stagione di House of Cards. Viene quindi meno l’appuntamento con la serie TV, puntata dopo puntata, e lo spettatore scopre il binge watching, e con esso, la possibilità di vedere intere stagioni senza interruzione. Ciò ha portato verso un consumo personalizzato e senza limiti (attraverso l’identificazione e la catalogazione dei contenuti mirate a proporre ad ogni singolo utente un’offerta cucita su misura in base alle scelte effettuate e ai generi preferiti), e ad una modificazione delle strategie messe in atto dai diversi operatori sul mercato.
Lo spettatore è sempre più coinvolto rispetto ai contenuti di una serie TV, a tal punto da generare fenomeni di produzione di contenuti spontanei: sono i cosiddetti fandom, in grado di amplificare e rafforzare il potere produttivo dei contenuti audiovisivi. I ‘cultori’ delle serie TV, riuniti in forum virtuali, sono utenti che producono essi stessi contenuti, grazie anche all’utilizzo di nuove tecnologie, reperendo notizie o anticipazioni, avviando e alimentando discussioni tra gli appassionati, circa le sorti dei personaggi o il livello di gradimento degli episodi. Ma non solo… scrivono recensioni e fan-fiction, creano video amatoriali e siti web. Inoltre, la possibilità di avere un loro feedback immediato, consente all’industria di perseguire nuove sfide tenendo conto degli indici di gradimento e del coinvolgimento del pubblico.